L’Accademia del Chiostro: "Solo i musicisti indipendenti possono garantire la diffusione ovunque della cultura musicale. Ma gli aiuti degli enti pubblici sono quasi inesistenti".
“L'emergenza Covid19 ha raso al suolo lo spettacolo dal vivo... che era già morto. E i musicisti indipendenti sono una delle categorie che ha pagato il prezzo più alto. Ora dateci l'ordine dei musicisti”. A parlare è Donatella Ferraris, fondatore e direttore artistico dell’Accademia del Chiostro, un’associazione culturale senza scopo di lucro per la diffusione della cultura musicale attiva soprattutto a Genova e in Liguria.
“Prima hanno fatto in modo che si svuotassero i teatri e si riempissero gli stadi – prosegue Ferraris – Poi, causa pandemia, si sono svuotati anche gli stadi, ma in questo caso si sa che si tratta solo di una cosa provvisoria”.
Di chi è la colpa?
La maggiore responsabilità è degli addetti ai lavori. Orchestre come la nostra, composta da quelli che non lavorano stabilmente in un teatro dell'opera, hanno portato avanti la loro battaglia con le pochissime armi a disposizione. Ma gli ostacoli sono praticamente insormontabili.
Per esempio?
Pochi fondi; bandi dei Comuni e delle Regioni dove chiedi 100 ti danno 50 e devi comunque dimostrare di aver speso 100. Difficoltà a reperire sponsorizzazioni private: spesso i Comuni che finanziano hanno gli sponsor istituzionali che non vanno d'accordo con gli sponsor che potresti trovare tu. Il mecenatismo ovvero la committenza ha meccanismi molto articolati, che dall'esterno spesso non si immaginano neppure. Pure noi non li immaginavamo prima di doverci cimentare con queste cose.
Come avete cercato di sopravvivere, anche prima dell’era-Covid?
Quali musicisti liberi professionisti ci siamo inventati la musica nei musei. Accademia del Chiostro è stata la prima associazione musicale a proporre spettacoli all'interno dei musei, già nel 1997. Abbiamo proposto spettacoli gratuiti, e quindi fruibili da tutti: anche da quelle persone che non si possono permettere un biglietto per andare a teatro, anche da quelli che hanno timore di entrare in teatro. Abbiamo suonato nelle chiese e nei luoghi di culto portando avanti un'attività a volte vista ancora adesso con sospetto.
In che senso?
In America i cori gospel vengono pagati. Fino a 20 anni fa circa l'unica chiesa a Genova che si concedeva di pagare addirittura due organisti professionisti era la Chiesa della Consolazione. Ora forse è rimasto il Duomo, ma non ne sono certa. Sembra che in chiesa l’argomento sia tabù. Nelle parrocchie il volontariato è importante, ma c’è anche chi lavora e deve essere pagato per questo.
E come altre attività, chiese a parte?
Abbiamo cercato modi particolari di proporre la musica classica, inventandoci spettacoli anche a carattere divulgativo, mai didascalico. Certo il lavoro da fare è sempre stato duro a cominciare dal fatto che nelle scuole l'educazione musicale ancora adesso non è proposta in modo idoneo.
La nostra orchestra, composta da "quelli diplomati negli anni '90" e da alcuni giovani conosciuti nel corso degli ultimi anni, si propone di aiutare e lanciare i giovani interpreti. In particolare vogliamo aiutare le ragazze: anche nel mondo dell’arte le donne hanno sempre avuto maggiore difficoltà ad affermarsi. Un esempio ne è il nostro primo violoncello: Anastasia D’Amico, che ha appena 19 anni.
Ora inizia la ripartenza
Personalmente parlerei più di partenza, visto lo stato attuale della musica indipendente in Italia. Per quando riguarda i musicisti, per partire con il piede giusto bisognerebbe cominciare con la creazione di un ordine dei musicisti. Che, come primo passo, dovrebbe stabilire un minimo contrattuale di compenso giornaliero (come avviene per gli attori).
I musicisti dovrebbero "imparare" a proporsi sempre professionalmente e le piccole associazioni non dovrebbero essere messe nelle condizioni di fare così tanto lavoro amministrativo con il rischio di sbagliare e di avere sulle spalle una responsabilità quasi quanto quella di una piccola impresa. Sarebbe il primo passo verso il riconoscimento della specificità del lavoro svolto dai musicisti: non solo quelli degli enti lirici, ma anche e soprattutto gli indipendenti.
Parla il direttore d’orchestra
La tragedia del coronavirus si è abbattuta su un settore già agonizzante di suo – afferma Massimo Vivaldi, il direttore d’orchestra dell’Accademia del Chiostro - Poco più di un anno fa ero al Teatro Carlo Felice di Genova. Ho avuto modo di veder uscire gli spettatori alla spicciolata. Anziani, tanti; giovanissimi, un po’ (i loro commenti li qualificavano inequivocabilmente come allievi del conservatorio); giovani/adulti, praticamente assenti. Mancava un’intera generazione. Per me è stata una ferita doppia, come insegnante e come musicista in attività (sempre più faticosa).
Quindi, dopo lo sgomento, è partita la riflessione. Sul dove abbiamo sbagliato, in primis. Vogliamo partire dall'educazione musicale, da sempre cenerentola nella scuola italiana? Oppure vogliamo parlare della Rai? Da un po’ di anni a questa parte la Rai si è sentita in dovere di adeguarsi alle TV commerciali per favorire la raccolta pubblicitaria, inabissando progressivamente il livello culturale dei suoi palinsesti: grazie a questa logica puramente mercantile nel 1993 la Rai ha ridotto le sue orchestre da quattro a una.
Cosa si può fare per rimediare?
L’analisi degli errori passati deve guidare pensieri e azioni orientati al futuro. Cominciamo dalla musica nel sistema scolastico italiano. Sentivo su Radio tre la settimana scorsa un dibattito in cui un insegnante di arte lamentava la scarsa presenza della storia dell’arte nei programmi delle scuole superiori. Lamentela sacrosanta. E la musica? Come mai si dà per scontato che nei licei classici, per esempio, non esista la storia della musica?
Perché l’insegnamento della musica, nonostante le infinite riforme recenti, non comincia in maniera sistematica e qualificata fin dai primi anni di scuola, a parte le iniziative lodevoli di insegnanti appassionati e volenterosi?
Personalmente, avendo una più che trentennale esperienza di insegnamento della musica nella scuola, ho assistito più volte alla curiosità dei bambini per gli strumenti musicali, anche quelli per i quali oggi si fatica a trovare allievi per aprire i corsi nei Conservatori. Disperdere un tale capitale umano è semplicemente delittuoso.
Non basta il lavoro delle fondazioni liriche?
No di certo. Anche sulla distribuzione dell’offerta musicale sul territorio c’è molto da dire. Orchestre sinfoniche ed Enti lirici “istituzionali” certo sono fondamentali, ma assolutamente non sono sufficienti per operare quella divulgazione musicale capillare che, sola, garantirebbe la tradizione dei più importanti patrimoni dell’umanità.
Che ruolo possono avere i musicisti indipendenti?
Proprio in questo segmento si inseriscono le tante persone che non hanno trovato posto nei sempre più esigui organismi musicali istituzionali. Persone che, come minimo, hanno trascorso dieci anni della loro giovinezza in compagnia più del loro strumento che dei loro amici e familiari.
Persone animate da spirito di iniziativa che, con fatica e sacrifici, si prendono l’incarico di decentrare l’offerta musicale, di portarla ad altre persone che magari, per i motivi più disparati, non entreranno mai in un teatro. Persone che hanno competenze professionali elevate: non per niente i Conservatori fanno parte del sistema dell’AFAM, Alta Formazione Artistica e Musicale.
Persone che, mai come in questo momento, hanno diritto di essere sostenute dalle Istituzioni, per l’insostituibile opera di divulgazione culturale che compiono. Persone che, quando dicono “faccio il musicista” non devono più sentirsi chiedere “ah, ok, ma di lavoro?”.
La pandemia vi ha danneggiato?
Da questo punto di vista, il lockdown conseguente alla pandemia ha solo aggravato una situazione che già lasciava per strada tanti lavoratori della cultura e dello spettacolo. La nostra viva speranza è che le Istituzioni traggano da questa situazione critica l’insegnamento di quanto sia importante una divulgazione capillare di tutto quanto è cultura “alta”. Il nostro modello sociale attuale tende sempre più al basso a causa di una progressiva logica ottusa che vuole uniformarci come consumatori acritici e inconsapevoli.
Solo la bellezza potrà salvarci da questa china pericolosa. Per questo è troppo importante che i suoi messaggeri (artisti, operatori culturali ecc.) abbiano il giusto sostegno da parte delle Istituzioni. La posta in gioco non è di poco conto, e il tempo a disposizione è sempre meno.